SIlvia Landi

1. “”GLOBESITY”, il tuo lavoro esposto al WSP Photography in occasione dell’ultima edizione di Fotoleggendo, è una ricerca globale  su un problema che riguarda non solo le nazioni industrializzate ma è sempre più diffuso. In questi  anni di ricerca sei riuscita a capirne le cause, gli effetti e come viene contrastato?

Globesity è un lavoro che racconta l’epidemia globale di obesità nei paesi in via di sviluppo. E’ un lavoro nato tra le mura del WSP, quindi era un po’ nel suo destino che la prima mostra di questo lavoro fosse proprio nella sede del WSP. Negli ultimi due anni ho concentrato tutte le mie energie nel realizzare questo importante lavoro su un tema fotograficamente ancora poco esplorato. Per molti anni l’obesità è stata associata all’eccesso di cibo e allo stile di vita dei paesi ricchi, ma oggi non è più così.

L’obesità è fenomeno molto complesso e multifattoriale, ma le cause sono ormai abbastanza chiare agli esperti e sono legate soprattutto a due fattori: da una parte c’è la difficoltà per le fasce povere della popolazione mondiale ad accedere al cibo di qualità e cure mediche adeguate, dall’altra la massiccia globalizzazione del cibo, ovvero la diffusione, anche nei paesi poveri del mondo, di  bevande e cibi ultra-processati ricchi di zucchero e grassi che costano meno e sono più accessibili rispetto al cibo di qualità.

Se si uniscono questi due aspetti a fattori culturali, ad uno stile di vita più sedentario, alla mancanza di cultura alimentare, all’assenza di vere politiche di prevenzione, quello che si ottiene un mix esplosivo che ha incrementato a livelli spaventosi i tassi di obesità in tutto il mondo in particolar modo nelle fasce povere della popolazione mondiale. Il risultato è che per la prima volta nella storia dell’umanità, al mondo ci sono più persone obese che denutrite e che si muore più per cause correlate all’obesità che di fame. L’obesità sembra quindi essere la sfida del futuro e le soluzioni messe in atto dai paesi maggiormente colpiti sono ancora poche e poco efficaci rispetto alla portata del fenomeno, ma per lo meno se ne inizia a parlare anche a livello politico.

 

2. Psicologo e fotografo due figure diverse ma entrambe indagano e scavano nella realtà per farne uscire aspetti e storie nascoste. Quanto è labile il confine tra loro e quanto la tua formazione di psicologa ha inciso sul tuo modo di fotografare?

In realtà il confine è netto, anche se sono due lavori che prevedono la stessa attitudine, ovvero saper individuare un problema nascosto e scavare nella complessità della realtà fino ad ottenere una storia che abbia un senso narrativo. E’ come avere tra le mani un gomitolo pieno di nodi e riuscire pian piano, con molta tenacia, a districarli tutti e dipanare un filo che ti permetta di tessere una storia.

Quindi, per rispondere alla tua domanda,  la mia formazione da psicologa, così come i tanti anni passati a collaborare come consulente di ONG per la realizzazione di progetti di prevenzione e informazione per i cittadini, mi hanno profondamente influenzata, sia  nel mio modo di fare fotografia,perché l’aspetto umano e psicologico dietro le storie che approfondisco, è sempre stato molto importante per me, sia rispetto  alla scelta dei temi che mi appassionano e che cerco di approfondire con i miei progetti fotografici.

 

3. “Globesity”, “Juggling life”  e “Faith e mistery” sono lavori che affrontano temi molto differenti tra loro. Hai un modo di operare comune o ogni storia prevede un approccio sempre differente?

Sono lavori fatti  in periodi molto diversi della mia formazione fotografica e in un certo qual modo raccontano il mio percorso, la mia crescita. Faith and Mistery, è stato un lavoro di pancia, in Etiopia mi sono fatta completamente avvolgere dalle sensazioni e ho cercato di raccontare dei riti religiosi  facendo più attenzione alle sensazioni che alla narrazione. Juggling life è stato il mio primo tentativo di reportage e mi ha permesso di trascorrere più di un anno immersa nella vita di tre circensi di strada. Con The Obesity Way, ho cercato di raccontare per circa 2 anni, gli aspetti psicologici e intimi della vita di una persona che soffre di obesità vivendo la sua quotidianità.

Globesity invece ha richiesto un approccio completamente diverso, dopo mesi di ricerche e documentazione ho individuato dei paesi target che potessero raccontare aspetti diversi del problema. Arrivare a produrre il lavoro così come è adesso ha richiesto due anni di lavoro e attualmente comprende 4 paesi e continenti, anche se non ho potuto dedicare più di 12 giorni di scatti per ogni paese.

Per me è stato un lavoro enorme, completamente autofinanziato e prodotto, una sfida sotto molti punti di vista, a livello personale e fotografico, ma desideravo moltissimo raccontare questa storia e ci ho messo tutto il cuore e l’impegno possibile per realizzarla al meglio.

 

4. Cosa c’è di Silvia nei tuoi lavori, cosa ti ha spinto a scegliere in particolare la fotografia di reportage e documentaria?

Nelle mie fotografie, nelle storie che scelgo, nel modo di costruire ed affrontare un progetto fotografico c’è tutto di me. Molti fotografi nell’arco delle loro vite si sono appassionati a diversi tipi di fotografia, a tecniche e linguaggi diversi, per me non è stato così, io ho iniziato a fotografare tardi purtroppo, ma nel mio percorso di formazione ho avuto una grandissima fortuna, la persona che mi ha insegnato ad accendere la macchina fotografica è stato Fausto Podavini, un grande fotografo di reportage capace di trasmettere tutta la sua passione, dedizione e serietà nell’affrontare questo difficile e meraviglioso lavoro.

La fotografia di reportage è stato quindi un linguaggio che ho sentito subito molto affine e che mi sta permettendo di esplorare la complessità del mondo e dell’essere umano nel modo che interessa a me. A livello personale, la fotografia di reportage mi permette di uscire dalla mia zona di comfort, mi obbliga a sfidare i miei limiti culturali, caratteriali e fisici, mi permette di andare oltre le mie paure.

 

Silvia Landi è una fotografa documentarista che vive a Roma. Ha frequentato la WSP Masterclass e il suo lavoro è stato esposto durante l’edizione 2018 di Fotoleggendo.
Intervista a cura di Massimiliano Tempesta, WSP Photography.