Yarin del Vecchio si aggiudica la Fellowship di Parallelozero, una collaborazione iniziata l’anno scorso e che prosegue con successo anche quest’anno in occasione delle Letture Portfolio Portfolio on-line dell’IMP Festival – International Month of Photojournalism, tappa padovana di ITALY PHOTO AWARD 2020.
A partire dai primi anni ’60 consistenti flussi migratori provenienti soprattutto dalle excolonie hanno interessato molti stati europei, arrivando a rendere l’attuale contesto demografico dell’UE sempre più caratterizzato dalla presenza di extracomunitari. Se negli anni alcune dinamiche delle migrazioni sono cambiate, c’è un aspetto, invece, che è rimasto costante nel tempo e che spesso rappresenta l’unico bagaglio che porta con sé il migrante: la propria identità culturale. Cova da Moura è un’area di 20 ettari situata nella periferia nord di Lisbona, costruita dai primi capoverdiani che, a partire dal 1975, anno in cui Capo Verde raggiunse l’indipendenza, cominciarono ad emigrare verso la capitale lusitana. A seguito del costante flusso migratorio, Cova è diventato un quartiere unico nel panorama europeo grazie alla sua mono-etnicità: ad oggi l’80% dei circa 6.000 abitanti è di origine capoverdiana, caratteristica che rende quest’area dell’hinterland di Lisbona una piccola nazione all’interno dello Stato portoghese. Le complicate dinamiche sociali del quartiere, tuttavia, hanno fatto sì che, nella percezione comune, il nome di Cova da Moura sia diventato sinonimo di insicurezza, precarietà sociale e violenza.
Yarin Trotta del Vecchio nato a Roma nel 1991. Il suo percorso di formazione fotografica è cominciato nel 2014 ed è culminato nel 2017 con un Master in Reportage presso il WSP di Roma. Attualmente si dedica a progetti a lungo termine concentrandomi principalmente su tematiche di carattere sociale.
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